QUESTO NON È AMORE

 25 novembre, giornata internazionale della lotta alla violenza contro le donne

“L’obiettivo finale non è solo il “contenimento del fenomeno ma la sua eradicazione”. (Francesco Messina)

La violenza è poliforme e si esprime nei modi più diversi, in aggressioni fisiche, percosse e contusione, violazione del corpo e abusi sessuali, ma anche come forme perverse di condizionamento psicologico e minacce. In diverse realtà, la violenza psicologica si esprime nel controllo delle donne, nella limitazione della loro libertà di movimento e l’impossibilità di disporre indipendentemente di risorse economiche; sostanzialmente, la violenza di genere spesso corrisponde sia a forme di controllo sulla vita delle donne sia all’atto estremo quando non si riesce a farlo.

(https://aliceforchildren.it/2021/08/30/violenza-sulle-donne/)

Parlare di eliminazione della violenza contro le donne è complesso e diffcile farlo senza scadere nella retorica. Ci limiteremo, senza certamente essere esaustivi, ai dati, ad alcune situazioni di violenza e a qualche riflessione.

Femminicidi

Il Servizio di Analisi Criminale del Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno, nel documento del 14 novembre 2022 indica che relativamente al periodo 1 gennaio – 13 novembre 2022 sono stati registrati 261 omicidi, con 96 vittime donne, di cui 84 uccise in ambito familiare/affettivo; di queste, 49 hanno trovato la morte per mano del partner/ex partner. (https://www.interno.gov.it/it/stampa-e-comunicazione/dati-e-statistiche/omicidi-volontari-e-violenza-genere).

Stupro come arma di guerra, violenza sessuale e tratta

Maria Grazia Giammarinaro, magistrata, già Special Rapporteur delle Nazioni Unite sulla tratta di esseri umani, in particolare donne e minori, nell’ampio e dettagliato articolo Violenza sessuale e tratta in relazione all’invasione dell’Ucraina ((https://www.questionegiustizia.it/articolo/violenza-sessuale-e-tratta-in-relazione-all-invasione-dell-ucraina) scrive: 

Il corpo femminile è stato usato nei conflitti recenti, e certamente a partire dalla guerra nella ex-Jugoslavia, come una vera e propria arma di guerra. Lo stupro sistematico delle donne e le gravidanze forzate sono stati strumenti utilizzati con freddezza per realizzare piani di pulizia etnica e per fiaccare il senso di identità degli individui maschi del gruppo avversario. ISIS/Daesh ha fatto del corpo delle donne Yazidi, sequestrate, usate come schiave sessuali per remunerare i combattenti, vendute sul mercato globale del sesso, una sorta di bottino di guerra da usare anche come fonte di finanziamento. Boko Haram in Nigeria ha probabilmente venduto nello stesso modo tante ragazze sequestrate nei villaggi e nelle scuole. In ogni caso, le notizie di stupri e di varie forme di sfruttamento e violenza sessuale hanno sempre accompagnato le cronache di guerra in relazione agli oltre 50 conflitti in corso globalmente. […] La tratta e il grave sfruttamento sono connessi a tutti i conflitti recenti. Si tratta non già di un’eventualità, ma di un aspetto sistematicamente connesso alle cause e alle conseguenze di qualsiasi conflitto. La guerra è un moltiplicatore di tutti i fattori di vulnerabilità che possono sfociare nella tratta o in gravi forme di sfruttamento. Sono a rischio soprattutto le donne, non certo perché siano un gruppo ontologicamente debole o vulnerabile, ma perché, occupando una posizione subordinata nelle gerarchie di potere, in molti Paesi hanno un limitato accesso alle risorse sia economiche sia culturali, e sono colpite da varie forme di violenza di genere, tra cui la violenza domestica e sessuale, che può indurle a emigrare in condizioni di insicurezza. Inoltre, la vulnerabilità dipende da fattori intersezionali che interagiscono con il genere, tra cui la nazionalità, la provenienza etnica o geografica, lo status sociale. Durante un conflitto, tutti questi fattori di vulnerabilità sono esacerbati e altri elementi addizionali concorrono a determinare una situazione di rischio).

Il sacrificio delle donne iraniane

Le democrazie possono dirsi tali solo se nel loro dna hanno ben saldi i diritti delle donne come diritti universali e la laicità delle istituzioni”.(Monica Lanfranco)

L’INVITO a portare il velo fu la prima avvisaglia che la rivoluzione avrebbe potuto sacrificare le sue “sorelle”, appellativo che si erano date le donne impegnate nella lotta per rovesciare il governo dello scià. Provate a immaginare la scena: pochi giorni dopo la vittoria, un uomo di nome Fathollah Bani Sadr fu nominato supervisore provvisorio del ministero della Giustizia. In una mattina chiara e ventilata, alcuni colleghi e io, ancora pieni d’orgoglio, scendemmo a congratularci con lui.

Entrammo ordinatamente nella stanza e gli rivolgemmo calorosi saluti e felicitazioni. Poi, lo sguardo di Bani Sadr cadde su di me. Mi aspettavo che mi ringraziasse o che mi dicesse quanto aveva significato per lui che una donna giudice, impegnata come me, si fosse schierata dalla parte della rivoluzione.

Invece domandò: “Non pensa che, per rispetto al nostro amato ayatollah Khomeini, che ha onorato l’Iran con il suo ritorno, sarebbe meglio che si coprisse la testa?” Fu come ricevere uno schiaffo. Eravamo lì, al ministero della Giustizia, dopo che una grande rivolta popolare aveva sostituito un’antichissima monarchia con una moderna repubblica, e l’attuale supervisore della giustizia che cosa faceva? Parlava di capelli. Dei miei capelli!

Non ho mai indossato il velo in tutta la mia vita”, risposi, “e sarebbe ipocrita cominciare proprio adesso.”

Allora non sia ipocrita e lo indossi come atto di fede!” ribatté lui, come se il problema fosse già risolto.

Scusi, non è così semplice”, insistetti. “Non dovrei essere costretta a indossare il velo, se non ci credo, e non ho intenzione di metterlo.”

Ma non si rende conto della situazione?” chiese, alzando il tono della voce.

Sì, ma non voglio fingere di essere qualcosa che non sono”, ribadii. Poi me ne andai. […] Per le donne i luoghi pubblici, dal negozio di frutta e verdura al parco, alla fermata dell’autobus, divennero terreno minato. Non sapevi mai dove, a che ora e con quale pretesto saresti stata importunata, e spesso gli scontri con la polizia della morale pubblica erano allarmanti. Dopo essere stata arrestata due volte per avere indossato malamente il velo e per abbigliamento non corretto dal punto di vista dell’Islam, conclusi che c’era ben poco che si potesse fare per difendersi da uno Stato che mirava a imporre un clima di terrore. E quello, sospettavo, era lo scopo ultimo: generare una paura talmente dilagante da costringere le donne a rimanere a casa, proprio il luogo dove, secondo gli iraniani tradizionalisti, dovevano stare”. (Shirin Ebadi, Premio Nobel per la pace 2003, Azadeh Moaveni, Il mio Iran).

E potremmo continuare con aborto selettivo, mutilazioni genitali, matrimoni coatti, matrimoni precoci, tratta e prostituzione, atti persecutori o stalking, divieto di intraprendere attività lavorative esterne all’ambiente domestico e divieto a possedere un patrimonio…. tutti effetti generati da uno stesso sistema, etimologicamente definito dal Dizionario Treccani: “un insieme di elementi, tra loro collegati, che reagiscono o evolvono come un tutto, con proprie leggi generali, un insieme organizzato di teorie o di dottrine e anche il modo in cui è organizzato un settore della vita di una collettività, di una nazione”.

Allora, forse, abbracciando tutte le donne vittime di violenza di ogni tempo, luogo e circostanza, l’atto rivoluzionario più efficace contro il sistema sarà quello che ciascunə potrà fare partendo dagli atteggiamenti che adottiamo alle politiche che sosteniamo nei confronti delle identità di genere perché la fine della violenza contro le donne non è una cosa che riguarda solo le donne, ma è affare di tutti. Ogni giorno abbiamo l’opportunità di esaminare i nostri comportamenti e le nostre convinzioni alla ricerca di pregiudizi che consentono alla cultura della violenza di continuare. Potremmo primariamente prendere le distanze dalla cultura della violenza insita nell’ambiente sociale che consente di normalizzare e giustificare la violenza, sfidare le caratteristiche tradizionali dei ruoli e degli stereotipi assegnati agli uomini e alle donne, accogliere e promuovere ogni diversità, incoraggiare la cultura dell’accettazione e dell’accoglienza, parlare di consenso e responsabilità.

In occasione della Giornata Mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne, UN Women, l’ente sovranazionale delle Nazioni Unite che si occupa della tutela e dell’empowerment femminile, ha stilato nel 2020 un decalogo per cui tutti possiamo trasformarci da semplici cittadini ad attivisti. Basta poco per fare la differenza.

https://www.unwomen.org/en/news/stories/2020/11/compilation-take-action-to-help-end-violence-against-women

 

 

Illustrazioni di: Chiara Ghigliazza, Davide Bonazzi, Kelly Romanaldi, Malika Favre, Marina Marcolin, Ozio Beffardo 

https://www.picamemag.com/illustrazioni-violenza-sulle-donne/