ICEBERG. IL SOMMERSO VENUTO A GALLA

Una grande affluenza di pubblico e altrettanta attenzione da parte della stampa locale hanno ricambiato la fatica entusiastica della preparazione e della realizzazione di questa rassegna che ha visto voci e pluralità competenti affrontare il tema della violenza maschile sulle donne.

L’emersione della consapevolezza. Se le cose non vengono nominate, le cose non esistono

Gli stereotipi, i pregiudizi e le discriminazioni dei quali è vittima la donna sono sistematici e ben radicati dentro e intorno a noi e hanno pervaso il nostro vivere fin dalle origini della socialità, tramandati di generazione in generazione. Finché non ne prendiamo contezza e non li nominiamo, frasi come “con quel bel faccino non puoi gridare”, “stai zitta”, “questi sono giochi da femmine”, “questi sono giochi da maschio”, “i maschi non piangono”, “non fare la femminuccia”, oppure ancora “è vivace, è manesco? ma è un maschio, è normale”, escono dal nostro parlare con normalità e ci sembrano innocui. Ma non lo sono. L’adagio “siamo ciò che mangiamo” potrebbe quindi facilmente essere esteso a “siamo ciò che ascoltiamo” e se è così, se siamo davvero ciò che ascoltiamo, è importante fare scelte consapevoli di ciò che diciamo e ciò che ascoltiamo inserendolo nelle nostre vite. Le parole che ascoltiamo e che scegliamo di utilizzare, possono diventare lenti attraverso cui vediamo il mondo e lo influenzano, soprattutto quando si tratta di educare e far crescere.

I corpi e le emozioni

Non esiste relazione senza corpi. Quei due metri quadri circa di pelle del nostro corpo racchiude tutto ciò che siamo. É il limite poroso tra l’io e il tu, tra ciò che voglio e posso darti e ciò che tu puoi arricchire o togliermi. Il limite è muro in cui puoi aprire brecce o che puoi addirittura sfondare, ma dove puoi anche faticosamente arrampicarti per vedere oltre e scoprire nuovi panorami. Allora anche le emozioni che derivano dal guardare, toccare, annusare i corpi dei “tu” che incontriamo debbono essere riconosciute e anch’esse nominate. Soprattutto in quella fase di trasformazione caotica e imprevedibile del passaggio dall’infanzia all’adultità. 

Patriarcato

Per metafora ossimorica è il liquido amniotico, stagnante e non generativo, che dà alla luce la violenza sulle donne. Subdolo e pervasivo, ha con tenacia manipolato e ridotto al silenzio la voce delle donne, ne ha schiacciato la dignità e il genio, ha tenuto sotto scacco la loro libertà di autodeterminazione, le ha etichettate e incasellate, in nome di un potere maschile autoattribuito. Da sempre streghe, sante, angeli del focolare, puttane, isteriche, volubili, pazze, madri per forza o per amore, sempre da dare, crocerossine dedite fino alla vita alla cura del maschio, perfino le leggi (ovviamente fatte da maschi) hanno avvalorato tale potere. Ci basti ricordare che leggi come il delitto d’onore o usanze come il matrimonio riparatore e la pratica di mandare in convento le figlie femmine perché tenerle a casa per la famiglia sarebbe stata una rimessa, sono state abrogate e abolite non molto tempo fa. 

Il linguaggio

L’uso del linguaggio è fondamentale, hanno sottolineato relatori e relatrici, nominare sempre donne e uomini, volgere ogni appellativo al femminile ed al maschile «perché chi non viene nominato non esiste», sdoganare le frasi fatte sugli stereotipi di genere e utilizzare parole nuove «perché le parole mettono al mondo il mondo» e «se utilizziamo nuove parole per riferirci alle donne, costruiremo un nuovo mondo».

Uomini disertori del patriarcato

«Possiamo allevare giovani disertori del patriarcato, educando i nostri ragazzi a riconoscere le espressioni e i comportamenti discrimatori. Prendere le distanze da quei comportamenti è il primo passo per coinvolgere anche altri coetanei e creare un effetto domino che costruisca nuovi atteggiamenti di rispetto, uguaglianza, parità di genere». (Monica Lanfranco)

Il teatro, mezzo espressivo che interroga e coinvolge

Voce e corpi per raccontare storie e vissuti. Luci, colori e ombre, suoni modulati dal grido al canto, fisicità e materia. Tutto negli spettacoli proposti a conclusione dei due weekend della rassegna, Artemisia: la luce nel buio di Luca Malinverni e Fil Rouge della compagnia Solve Coagula. 

Qui gli articoli e gli approfondimenti della rassegna

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I video dei relatori