di Cristiana Filipponi
È Laura Pigozzi –psicanalista lacaniana, insegnante di canto e penetrante indagatrice dei mondi della genitorialità e dell’adolescenza– che ha coniato la nozione di plusmaterno. Secondo la stessa, autrice dell’ultimo libro Troppa famiglia fa male, il termine indica la pulsione della famiglia che la fa tendere ad una chiusura claustrofobica verso se stessa portando molti genitori a concepire il nucleo familiare come alternativo al sociale, privando così i figli di una educazione all’autonomia e all’apprezzamento delle differenze.
Posto che il plusmaterno può essere incarnato anche da un padre, la dinamica che lo sottende produce un eccesso di cura che sostituisce il dovere educativo con l’ansia di controllo e con la paura di non essere amati: un affetto genitoriale che se prolungato, finirà inevitabilmente per impedire ai figli di staccarsi dai genitori ed iniziare il loro percorso di vita. Così scrive l’autrice nel suo precedente libro “Mio figlio mi adora”: «molti figli si sentono insensibili e ingrati se tentano l’unico vero compito che ogni figlio deve assumere: separarsi e iniziare una nuova vita».
Pur essendo in sottofondo tutte le tematiche già esplicitate nei suoi precedenti libri, in Troppa famiglia fa male, l’autrice delinea ed approfondisce la dimensione politica e sociale del plusmaterno: soffocando i figli di premure si rischia di adottare una “pedagogia della stampella” che però ha delle conseguenze nefaste per la collettività tutta. La famiglia che incarna il plusmaterno svaluta le occasioni educative esterne alla stessa ma soprattutto rischia di creare individui inabili alla sfera sociale, non allenati al confronto con le differenze e all’esercizio del pensiero critico e, in ultima analisi, facili prede dell’obbedienza passiva e della fascinazione della dinamica rassicurante, facile e senza sforzo, del pensiero unico.
Pigozzi mostra chiaramente tutti i rischi anti-democratici di un amore genitoriale incapace di limiti; replicando la tendenza del capitalismo ad offrire compulsivamente l’immediata soddisfazione di ogni bisogno, saturando così il desiderio, esso è anche l’anticamera del fanatismo. Il plusmaterno non produce infatti solo generazioni passive che non sono in grado di «curarsi del proprio desiderio» e di impegnarsi per il collettivo, ma rappresenta anche la strada più facile verso l’assoggettamento conformistico al pensiero dominante. Dal tradire se stessi al sottomettersi al fascino di chi vuole comandarci annullandoci nell’indifferenziazione della massa, il passo è breve.
“Il leader che pretende fedeltà non sta affatto nella posizione del padre regolatore, ma nell’assolutezza senza freni della plusmadre. […] Il totalitarismo, allora, più che conforme al patriarcato come si è soliti pensare, si rivela essere, anche sul piano inconscio e non solo su quello della storia contemporanea, la ripresentazione terrificante e fantasmatica dell’onnipotenza della madre originaria e primitiva. […] Il dittatore, dunque, non è una reincarnazione del padre cattivo, ma la riproposizione della potenza della madre primitiva, che decide della vita e della morte e che viene amata in modo assoluto, indipendentemente dai suoi meriti, anzi, nonostante possa presentare gravi demeriti”
Scrive ancora Laura Pigozzi sul suo blog riprendendo lo scrittore russo Vassilij Grossman: “ L’umano potrà sopravvivere se sopravviverà una maternità che non stringe, che non sottrae il bambino al mondo e al suo destino – un destino non disegnato dal genitore – una maternità che potrà sopportare quello sguardo < adulto e strano> del bambino che affronta la propria vita. Comunque essa sarà”.
Allora diviene chiaro che «il modo in cui ci si prende cura di un bambino in famiglia è politico» , ne va della storia di ogni figlio e di quella collettiva.