TRA VISIBILE E INVISIBILE

È ANCORA POSSIBILE OGGI PARLARE DI SPIRITUALITÀ?

di Cristiana Filipponi

Pandemia, crisi economica, guerra. In un’epoca come quella in cui stiamo vivendo, l’uomo si trova a subire un costante spaesamento, una dolorosa angoscia, lo sradicamento da certezze granitiche, un’accelerazione spasmodica e la conseguente disintegrazione delle relazioni vitali e della personalità. Timorosi di un’adultità che dovrebbe accogliere ed integrare tutte le dimensioni umane e che soprattutto e inevitabilmente dovrebbe chiamarci alla responsabilità di noi stessi e nei confronti del mondo, preferiamo rimanere sordi alla voce della coscienza che ci abita ed aggrapparci come bambini ad una figura genitoriale, seppur la più alta, implorandola perché, come per magia, intervenga a salvarci. O peggio, ci arroghiamo il diritto di conoscerne i pensieri, di parlare a suo nome e di farla schierare, sempre, ovviamente, dalla parte di ciò che noi e solo noi riteniamo giusto, condannando e perfino eliminando, e non solo in senso metaforico, tutti quelli che riteniamo la causa originante di tutto ciò che stiamo vivendo (il ritorno della figura archetipica collettiva del padre ombra).

 

Per ritrovare l’orientamento abbiamo allora forse bisogno di poterci ascoltare profondamente, chiamarci in causa, e giungere, seppur a fatica, alla coscienza di sé per riallacciare con gli altri e con il mondo un rapporto reale di presenza feconda e partecipativa. E’ sempre con tutta la nostra umanità, mente, corpo e spirito, che possiamo approcciarci alla vita e alla sua verità, nella consapevolezza di essere sostenuti da una realtà originaria e universale della vita stessa. Occorre forse scrostare e “restaurare” il volto di questa realtà originante della quale, per quanti sforzi possiamo fare, rimarremmo sempre nella “nuvola della non conoscenza” ma che sentiamo come anelito che ci trascende e che nello stesso tempo è dentro la vita stessa, vita contraddittoria, esaltante, dolorosa e luminosa allo stesso tempo. Dentro queste coordinate si inserisce la spiritualità.

 

Ma è possibile pensarla come dato fondante, libero da confessioni religiose e istituzionalizzate? In realtà la mistica più alta di tutte le grandi o piccole religioni ha prodotto intuizioni che, se approcciate con mente aperta e in costante ricerca, sembrano perfino risuonare delle più recenti ipotesi della fisica quantistica. Scevra da rigidità e dogmatismi, la spiritualità è il ponte che lega il visibile all’invisibile ed è, insieme, la sensibilità, che appartiene a tutti e a ciascuno, in grado di coglierne il legame. E’ la capacità di accorgersi che la realtà, nel suo nucleo più essenziale, è comunione e mai isolamento, frattura, dominio, violenza. Mai come in questo momento occorre che cadano i pensieri precostituiti, le certezze dualistiche, i giudizi settari, i fideismi e le superstizioni.

 

Al di là di ogni recinto confessionale occorre ritrovare la forza di aderire alla fonte di luce e di energia non violenta che vivifichi il nucleo della nostra realtà interiore e relazionale e che illumini, senza abolire la fragilità, la sofferenza, il dolore, i sentimenti e i desideri, un’etica risvegliata dalla coscienza e che diventi così attiva come cura delle relazioni interpersonali, sociali ed ecologiche.

 

Profondamente umana l’esperienza della spiritualità, insita in quella della trascendenza, che già Jung dava come “il continuo spostarsi avanti e indietro negli argomenti e nelle affezioni “ deve tradursi nella tensione oltre il già dato e soprattutto oltre ciò che contrasta con la dignità dell’uomo riconoscendo per ognuno il desiderio, l’attesa e la capacità di trasfigurarsi in un modo inedito di esistere e di vivere, “una nuova nascita viva che porta a nuovo livello dell’essere, una nuova situazione”, citando ancora Jung.

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