La parola cultura affonda le sue radici nel latino. Deriva dal verbo colere, che significa originariamente “coltivare”, ma non solo: in latino colere era un verbo di larghissimo spettro e poteva indicare anche “abitare un luogo”, “onorare gli dèi”, “aver cura di qualcosa o qualcuno”. Da qui nasce il sostantivo cultura, costruito con il suffisso -tura, che in latino serviva a indicare il risultato o l’attività legata a un’azione: come scriptura da scribere, o fractura da frangere. Cultura era quindi, alla lettera, l’“atto del coltivare” o “il modo di coltivare”.

In origine il significato era del tutto agricolo: si parlava di cultura agri, la coltivazione dei campi, la pratica che permetteva la sopravvivenza delle comunità. Ma già nella Roma repubblicana e imperiale la parola comincia ad ampliarsi. Cicerone, ad esempio, introduce un uso metaforico di straordinaria fortuna: parla della cultura animi, cioè della coltivazione dell’animo attraverso la filosofia e lo studio. L’idea è semplice ma potente: così come il contadino cura la terra perché dia frutti, allo stesso modo il filosofo o l’uomo colto deve curare la propria interiorità per renderla fertile di virtù e saggezza.
Durante il Medioevo la parola resta in circolazione con una doppia vita. Da un lato continua a indicare l’agricoltura – non a caso, i testi latini medievali parlano spesso della cultura agrorum. Dall’altro lato, nei contesti religiosi e scolastici, cultura mantiene anche il senso di “cura spirituale” o “formazione interiore”. È il periodo in cui i monasteri non solo coltivano la terra, ma anche conservano i testi e le tradizioni culturali, incarnando alla lettera questa duplice funzione.

Con il Rinascimento e l’età moderna, il termine si orienta sempre più verso il versante intellettuale. Parlare di “cultura” significa ormai non solo educazione scolastica, ma più in generale raffinamento dello spirito, conoscenza delle arti, della letteratura, delle scienze. È il periodo in cui la parola diventa sinonimo di umanesimo, civiltà, progresso dello spirito umano.
Nell’Ottocento, la parola riceve un’ulteriore svolta grazie al pensiero tedesco. Filosofi come Herder e, in seguito, gli antropologi, usano Kultur per indicare non tanto la formazione individuale, quanto l’insieme delle pratiche, dei valori, delle tradizioni che caratterizzano un popolo o una comunità. Da qui nasce l’accezione moderna e antropologica di cultura: non solo il bagaglio personale di conoscenze, ma il patrimonio collettivo di una società, che comprende lingua, arte, religione, costumi e saperi condivisi.
Oggi quindi la parola cultura conserva in sé tutte queste stratificazioni. Da un lato richiama ancora, metaforicamente, la coltivazione dell’animo, l’educazione, la formazione personale. Dall’altro si allarga a un campo più vasto, quello antropologico e sociologico, dove “cultura” significa tutto ciò che distingue una comunità umana e che dà senso alla sua vita condivisa. E non bisogna dimenticare che alla base di tutto rimane l’idea originaria di colere: coltivare, avere cura, prendersi responsabilmente di qualcosa.
Implicazioni psicologiche
Dal momento in cui “cultura” viene intesa come cura dell’animo, essa entra nel campo della psicologia (ben prima che la disciplina esistesse come scienza autonoma).
- Interiorità e formazione: la cultura diventa sinonimo di crescita personale, di allenamento della mente, di sviluppo delle facoltà intellettive ed emotive.
- Cura di sé: in senso ciceroniano, coltivare il proprio spirito significa lavorare sulla propria identità, sulle capacità critiche, sull’autocontrollo.
- Memoria e identità personale: oggi, la psicologia culturale sottolinea come le pratiche culturali contribuiscano alla costruzione del sé, fornendo linguaggi, simboli e modelli interiorizzati.
Implicazioni sociologiche
Con la modernità, il termine “cultura” non si limita più all’individuo, ma si estende al corpo sociale.
- Educazione e stratificazione: in ambito sociologico, cultura è anche il bagaglio di conoscenze che distingue i gruppi sociali. L’“avere cultura” è diventato storicamente un marcatore di status, uno strumento di distinzione.
- Norme e valori condivisi: la cultura, intesa come patrimonio comune, orienta i comportamenti sociali, trasmette regole implicite, costruisce appartenenze.
- Dinamica sociale: la cultura non è statica, ma vive di conflitti, contaminazioni, innovazioni. Le società mutano in base ai cambiamenti culturali, e viceversa.
Implicazioni antropologiche
L’antropologia, tra XIX e XX secolo, ha dato al termine una dimensione ancora più ampia.
- Definizione classica (Tylor, 1871): cultura è “quell’insieme complesso che comprende conoscenze, credenze, arte, morale, diritto, costumi e qualsiasi altra capacità acquisita dall’uomo come membro di una società”.
- Universalità e diversità: ogni popolo ha una cultura, e ogni cultura ha valore in sé. Questo approccio ha permesso di superare l’idea eurocentrica di “civiltà superiore”.
- Relativismo culturale: la cultura diventa la lente attraverso cui gli esseri umani interpretano il mondo. Non è solo un insieme di saperi, ma la struttura stessa del vivere insieme.
- Trasmissione e adattamento: in senso evolutivo, la cultura è il meccanismo che permette all’umanità di accumulare conoscenze e trasmetterle, adattandosi all’ambiente non solo biologicamente ma anche simbolicamente.
Sintesi finale
La parola cultura racchiude, dunque, un percorso che va:
- Dal campo alla mente (coltivazione materiale → coltivazione interiore).
- Dall’individuo alla società (formazione personale → valori condivisi e trasmissione sociale).
- Dalla società all’umanità intera (cultura come sistema simbolico che definisce ogni comunità umana).
Oggi, quando parliamo di cultura, evochiamo simultaneamente queste dimensioni:
- psicologica, come formazione del sé e costruzione identitaria,
- sociologica, come regolazione dei rapporti e distinzione sociale,
- antropologica, come patrimonio simbolico universale e strumento di adattamento dell’uomo.


